In una fresca sera di luglio, giunta oramai quasi al termine della magnifica esperienza Camp di Grano 2014, arriva come ennesima bella sorpresa la lunga, amichevole chiacchierata con Vincenzo (Moretti) sul tema: “il lavoro fatto bene”, tema su cui lui ha scritto un libro e di cui continua ad occuparsi con grande passione.
Metto da parte quel filo di rammarico per non averlo conosciuto prima così da partecipare attivamente a quel progetto, e mi sento colma di gratitudine per averlo conosciuto almeno adesso.
Mantenere ben saldo – al di là di tutto – il proprio orgoglio umano e professionale di saper fare “bene” il proprio lavoro, di questi tempi, con il pressapochismo che, sempre più arrogantemente, annebbia praticamente tutto il panorama a vista d’occhio, non è affatto facile.
Ma, a saper guardare, ci sono moltissimi esempi di tante altre persone che, come me scelgono -comunque sia- la strada della serietà professionale con vivace e sempre rinnovata energia. “Sentirsi parte”, riconoscere tra i propri amici e collaboratori più stretti altre persone che vivono e lavorano mettendo sullo stesso piano “testa, mani, cuore” da una grande gioia, un forte slancio alla speranza.
Come prima di me mio padre e mia madre -prima ancora ispirati dai nonni e chissà da quante generazioni- insieme ai miei otto fratelli, ed anche grazie ai buoni maestri che ho avuto la fortuna di trovare sulla mia strada, ho a cuore il mio lavoro; che sia un complesso progetto grafico che va a buon fine (…non di rado faticoso come un parto plurigemellare!), o una siepe di ribes che porta frutti in abbondanza, o cose ancora più piccole ma non certo meno importanti.
Quando senti che “vivere” e “possedere un mestiere” vanno di pari passo, non puoi non sentire gratitudine per l’immensa fortuna che possiedi. Mi auguro di saperla anch’io tramandare ai miei figli, e a tanti altri.
Grazie Vincenzo per avermi aiutato a metterlo a fuoco.