Martino Santillo

Per un lettore attento, che voglia partecipare al processo narrativo, Testa, mani e cuore di Vincenzo Moretti (Casa editrice Ediesse) è un libro che vale la lettura. Ci sono almeno due validi motivi per leggerlo:
I) si tratta di un libro che divora se stesso e il suo autore;
II) non si tratta di un libro “edonistico”.

Per il primo punto dobbiamo essere un po’ più chiari e parlare di struttura della narrazione. Al suo interno non troviamo una voce che occupa in pieno tutto il rapporto narrativo, bensì un insieme di piani diversi in cui il lettore trova il proprio spazio d’intervento.
Possiamo dire che abbiamo una struttura divisa in due livelli. Nel primo livello troviamo i dialoghi dei due fratelli Libero e Cosimo, che danno vita al testo, mentre nel secondo livello troviamo altri racconti. La storia dei due fratelli, infatti, è interrotta sette volte da altrettanti gruppi di tre racconti che apparentemente sono slegati dalla storia principale. I racconti, che chiameremo minori, sono legati alla storia principale per due ragioni: sono scritti dal personaggio Cosimo, e parlano degli stessi argomenti che quest’ultimo affrontata nei dialoghi col fratello.
Il lettore comprende in breve, dalle parole di Libero, che i testi del secondo livello sono letteralmente racconti nel racconto, poiché sono il libro che Cosimo sta scrivendo, che Libero sta leggendo e il lettore con lui.
Le trame dei racconti come i dialoghi dei due fratelli sono incentrati su un tema ben preciso: il lavoro ben fatto! Lo stesso titolo del libro Testa, mani e cuore indica l’impegno la tecnica e soprattutto la passione che devono essere impiegate in qualsiasi lavoro. Su questo filo rosso si susseguono le parole di Libero e Cosimo, di una cardarella, di una piazza, di Ottavia, e tanti altri personaggi umani e non.
Capire come i racconti minori siano intrecciati, più che legati, al racconto principale ci aiuta a comprendere anche la definizione di “libro che divora se stesso”.
Nelle righe iniziali abbiamo il personaggio Cosimo, prima voce narrante, che riflette sulla condizione d’inabilità al lavoro del fratello Libero. Quest’ultimo si offre di leggere le bozze del nuovo libro del fratello, e così comincia il primo blocco di tre racconti. Alla ripresa della narrazione principale, il lettore comprende che la storia di Libero ha influenzato Cosimo nello scrivere i suoi racconti, e i suoi racconti influenzano i loro successivi incontri. Perciò i due filoni narrativi, primo e secondo livello, essendo accomunati da stessi temi e influenzandosi reciprocamente procedono di pari passo.
Ci troviamo di fronte all’utilizzo di un classico strumento della narrazione cioè quello che viene chiamato “cornice” o anche “struttura”. È uno strumento tipico della narrazione che ha antecedenti antichi, come la Shahrazad (richiamata nel testo) delle Mille e una notte, e illustri, come le vicende della brigata del Decameron. Si tratta di una narrazione in cui sono adagiate altre narrazioni, accomunate dai temi trattati: variazioni in questo caso del “lavoro ben fatto”.
Le diverse narrazioni insistono sull’impegno e sulla qualità del lavoro come dovere, e soprattutto sulla dignità del lavoratore di qualità, come professionista, qualunque sia l’ambito d’impiego.
La tecnica usata per ottenere un senso di variazione nei racconti è lo spostamento continuo del punto di vista dei molteplici narratori. Questa coralità di voci serve anche a rendere più sensibile un altro tema, la cui presenza nel testo non è secondaria, cioè la condivisione.
Si tratta in particolare di un preciso processo di condivisione: la narrazione. Il racconto e la trasmissione di messaggi da un soggetto all’altro hanno nel testo di Moretti una forte vocazione identitaria. La condivisione è considerata come un processo fondante, grazie al quale creare una comunità attorno al fulcro preciso che è il messaggio della narrazione.
Nella struttura duplice del testo entrambe le parti del sistema portano in sé il messaggio e la riflessione, che poi è messaggio a sua volta.
Si racconta per condividere e si condivide per fondare una comunità e tenerla assieme. Dunque in questo libro non solo c’è un centro tematico ma anche la consapevolezza di un’azione volontaria.

santilloQuest’ultima osservazione ci ha condotto ormai anche a spiegare il punto secondo della nostra affermazione iniziale. Abbiamo scritto che il testo di Moretti non è un libro “edonistico”. Testa, mani e cuore non risponde, infatti, a un’esigenza narrativa fine a se stessa. La smania di raccontare non è un desiderio personale, ma è una necessità pratica.
Il testo di Moretti, più che un romanzo è quasi un trattato sotto forma di dialogo, che non esaurisce la sua funzione nel formato libro. Come ha scritto Ezio Raimondi in Un’etica del lettore: «Un testo è un segno di vita cui si deve continuare a dare vita» (Ezio Raimondi, Un’etica del lettore, il Mulino, Bologna 2007, p. 16), e quella di Moretti è una vera e propria chiamata alle armi. Se cerchiamo su internet #lavorobenfatto troveremo tutta una serie di blog dove Moretti, e i suoi collaboratori raccolgono storie ed eventi in giro per il Paese, storie di “lavoro bene fatto”, raccontando esperienze, difficoltà e speranze.
Alcuni esempi sono #lavorobenfatto e pensieri e parole, e anche l’importante la notte del lavoro narrato, ma insieme ad altri si possono ritrovare in osservatorio #lavorobenfatto: un “luogo” dove “promuovere, diffondere, condividere, con le idee e con le azioni, tra le persone e nelle organizzazioni con cui interagiamo, la cultura, l’approccio, l’etica del #lavorobenfatto.”.
In queste pagine web troviamo molte storie raccontate da Moretti. È chiaro dunque come Testa, mani e cuore sia un libro che divora il suo autore, là dove la figura del personaggio Cosimo, e i suoi ideali, le sue riflessioni, sono un’espressione della volontà e delle speranze di Moretti.
Il libro, infine, non appare come un testo a se stante, né tantomeno chiuso, bensì è un’opera che spezza il rapporto tra il narratore e il lettore solo per stringere un legame tra il lettore e l’autore.
Comprendiamo quanto Testa, mani e cuore sia parte di un progetto più ampio e di speranze poggiate su tempi lunghi. I valori raccontati e l’importanza attribuita all’atto della narrazione, e soprattutto alla centralità della condivisione, assumono un peso al di fuori delle pagine del libro e portano con sé il lettore invitandolo a prendervi parte. Ecco che il lettore attento potrà recitare una parte non solo nel gioco narrativo, ma anche al di fuori di esso.

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