“[..] Io devo piangere, e fino a quando ci state voi qua non lo posso fare. Lo sapete, è così da quando ero bambina. Per piangere, devo stare io sola.”
Ero su un treno per Napoli quando ho finito di leggere questo libro. Le lacrime sgorgavano dagli occhi come perle di sapere che dopo avermi inondato scivolavano via dal mio corpo, perché troppo debole per poterle cullare tutte. Mi asciugai il volto con il dorso della mano e tirai un sospiro, un rituale che da sempre compio ogni volta che giro l’ultima pagina di un libro che mi ha realmente coinvolto e mi sembra di star lasciando andare un amico – il fazzoletto in una mano, i piedi sui bordi del binario di quel treno che lentamente si allontana e diventa un punto millesimale verso l’infinito.
“L’infinito, la linea delle cose che finiscono senza avere mai fine: tu cammini e lei si sposta più in là, tu la insegui più in là e lei si è allontanata di nuovo. Sì, l’infinito è come l’eterno, non è nostro, non ci appartiene. Che poi non è tanto la morte il problema, almeno secondo me. È quando per morire devi soffrire come un pazzo che non si capisce più niente. È quando muoiono prima quelli che dovrebbero morire dopo”.
Un libro le cui pagine permeano del sudore di tutti quei lavoratori che lo hanno animato. Uno specchio sul mondo che ci circonda, il mondo di chi davvero combatte ogni giorno per sentirsi un po’ più vivo, il mondo di chi non se ne sta sprofondato in una poltrona a osservare i minuti che scorrono inesorabili, ma di chi lavora con la testa, le mani, il cuore, e io direi anche il fegato, il pancreas, le ossa. Ogni storia ci permette di aprire uno squarcio in realtà umili, concrete, reali. Prendono voce le cose, si fanno complici delle nostre vite, bocca di chi non riesce a parlare. Un libro che, alla fine, non ti lascia disarmato, ma armato del desiderio di operare, di “far qualcosa”, di metterci un po’ di quel cuore che il mondo che ci circonda tende a spegnerci, di provarci, di far parte silenziosamente di una di quelle storie. Perché, in fondo, è tutto quello che ci resta. Perché essere automi inermi non ha senso. Perché a volte tutto quello che conta è capire che dietro ogni più piccolo gesto c’è un lavoro, dietro ogni più piccolo lavoro ci sono delle dita, degli occhi, delle idee, dietro ogni più piccola idea c’è il desiderio di creare, cambiare, innamorarsi. Un libro che è una storia d’amore con ciò che oramai tutti considerano un sacrificio. Un libro che quel “sacrificio” lo trasforma in desiderio. Un libro che dà la forza.