Il romanzo di Vincenzo Moretti, Testa, Mani e Cuore fa luce sul mondo del lavoro in un modo che definisco “insolito”, lo fa cioè attraverso le storie delle persone e degli oggetti del lavoro, storie che a loro volta potrebbero svilupparsi in tante altre, tante quante sono le persone che il lavoro lo fanno con passione.
In un paese, il nostro, che ha dimenticato la “fatica” prima ancora di perdere il lavoro, questo romanzo da visibilità all’Italia operosa,che fa ancora bene il suo lavoro, non solo come mezzo per procurarsi di che vivere, ma anche come elemento fondamentale sul quale poggia la vita delle persone.
Io questo romanzo l’ho letto un po’ così come di solito leggo un saggio: mi sono ritrovato cioè, in alcune fasi della lettura a prendere appunti.
Ho ritrovato così gli insegnamenti che ho ricevuto lungo la mia vita di lavoratore ( sono un tecnico di sistemi elettronici ), sostituendo alla “personificazione” della cardarella il cacciavite, il saldatore, il tester e tutti gli altri strumenti che ti fanno svolgere bene il lavoro, quando sono ben tenuti e usati.
Ho rivisitato i luoghi dove, anche se per brevi periodi, ho vissuto, tipo il quartiere della Boca a Buenos Aires, ritrovando i figli dell’Italia emigrata all’inizio del secolo scorso, con le loro storie. Il lungomare di Gaeta e in questo caso un viaggio più lontano nel tempo che nello spazio, dove è ancora vivo il ricordo dei pescatori amatoriali che passavano l’intero pomeriggio sul molo.
Molte dunque le storie o situazioni dove la mia storia personale va a intersecarsi con il libro.
Ecco, la lettura di questo romanzo è stata una bella cosa.
Grazie Vincenzo.