Giulio Maria Esposito

esposito1Sono dell’idea che se un libro ti piace, per davvero, lo capisci subito. Ti bastano quindici, venti pagine, uno, due capitoli e già puoi dire se il libro ti ha colpito, se ti piacerà. Personalmente, quando, dopo queste famose 20 pagine, ho capito che il libro mi piace, lo divoro: non riesco a smettere di leggere, ho bisogno di sapere come andrà a finire, sono capace di non dormire pur di arrivare alla fine.
Con “Testa, Mani e Cuore” è andata esattamente così: l’ho iniziato e non sono più riuscito ad alzare la testa dal libro fino a quando non sono arrivato alla lettera di Antonietta a Cosimo.
“Testa, Mani e Cuore” mi ha coinvolto per due semplici motivi:
1) Parla di lavori fatti come si deve. In un periodo non felicissimo per l’Italia, queste “immagini” sono sempre meno frequenti. Troppo spesso il messaggio che ci viene trasmesso è che l’unico lavoro che serve è quello facile, non quello fatto bene. Esempi come quelli riportati nel libro sono sicuro che farebbero comodo anche a molti di quelli che oggi “guidano” il paese.
2) La realtà delle vite dei personaggi. Il lavoro e la malattia sono temi importanti con i quali la gente si confronta quotidianamente e ciò non ha fatto altro che aiutarmi a legare con le vicende di Cosimo, Libero e di tutti i protagonisti di questo racconto.

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